Marco Gargiulo

Dove l’acqua non sa di sale

Ci sono viaggi che nascono dal desiderio di cambiare prospettiva. Di lasciare, per un attimo, il familiare rumore del mare per ascoltare un altro tipo di silenzio. Questo è il racconto di un weekend al nord, tra acque dolci e storioni millenari, dove il tempo sembra rallentare e ogni respiro diventa memoria.

Dopo tante immersioni in mare, questa volta la bussola punta verso nord. Un weekend libero, qualche centinaio di chilometri da percorrere, l’auto carica di attrezzature e quella curiosità che solo l’acqua sa risvegliare. Io e Mimmo partiamo presto, direzione un lago privato di cui abbiamo sentito parlare sottovoce, nascosto tra le colline. L’acqua, stavolta, non sa di sale — ma promette emozioni altrettanto forti.

Il viaggio scorre lento, tra silenzi e battute, finché il paesaggio cambia colore. L’aria è più fresca, l’odore dell’erba bagnata si mescola a quello dell’acqua ferma. Ci raggiunge Alenka, arrivata dalla Slovenia: è stanca ma sorride, felice di essere lì. Ci guardiamo e sappiamo già che vivremo qualcosa di speciale.

La mattina dopo il lago è immobile, quasi sospeso. C’è un silenzio profondo, rotto solo dai nostri movimenti lenti mentre prepariamo le attrezzature. Il sole comincia a riflettersi sull’acqua e l’attesa cresce. Indossare la muta in quei momenti è come attraversare una soglia: tutto ciò che sta fuori smette di contare.

Entriamo in acqua poco prima di mezzogiorno. La visibilità è sorprendente, e in pochi istanti ci ritroviamo circondati da decine di storioni di ogni specie e dimensione: Huso huso, Acipenser naccarii, Acipenser sturio, Acipenser transmontanus, Acipenser gueldenstaedtii. I più piccoli ci osservano curiosi, mentre i giganti, lunghi quasi due metri, scivolano maestosi nel verde liquido del lago. Ci sono anche tanti i salmerini di fonte, i pesci siluro e qualche carpa ornamentale.

Serve attenzione — un colpo di coda può arrivare improvviso — ma è impossibile non restare incantati. Il beluga domina con la sua imponenza, il cobice racconta la memoria dei nostri fiumi, lo storione comune sembra custodire storie d’acqua e di tempo. Muoversi tra loro è come attraversare un frammento di preistoria ancora viva. Ogni respiro è più lento, più consapevole. 

Restiamo in acqua fino alle 18, completamente immersi — in tutti i sensi — nel nostro mondo liquido. Quando riemergiamo, il sole è basso e la stanchezza ha il sapore della soddisfazione. Ci scaldiamo con del the caldo al miele, tra risate e foto da riguardare insieme: istanti che già diventano ricordi.

Il viaggio di ritorno scorre tranquillo. Il buio avvolge la strada e nell’auto c’è solo il silenzio pieno di chi ha vissuto qualcosa di intenso. Una doccia calda, una cena semplice, il calore di una serata che sa di casa e di quiete.

La domenica si apre più lenta. Colazione con Alenka, poi si ricompongono le borse e si fa tappa in un piccolo supermercato per riportare a casa qualche sapore locale, un piccolo pezzo di questo weekend. Poi arrivano i saluti, un ultimo selfie, e via di nuovo verso sud. Lungo la strada ci concediamo il nostro solito rito: un gelato insieme, per chiudere con dolcezza un’avventura che porteremo dentro a lungo.

Quando finalmente rientro, mi attende una sorpresa: l’acquario tropicale è in blackout. La pompa ha fatto saltare l’interruttore generale e la vasca è ferma da ore. Un colpo al cuore. Mi metto subito all’opera, fortunatamente ho una pompa di riserva. In mezz’ora tutto torna a funzionare e i pesci stanno bene. Solo un piccolo danno al portafogli, ma va bene così.

Alla fine resta una sensazione difficile da descrivere. Due giorni lontano dal mare, ma immerso in un abisso di silenzio e meraviglia. Un’esperienza diversa, inattesa, che ti ricorda perché l’acqua — di qualunque forma o sapore — continua a essere il luogo dove mi sento davvero a casa.

Si chiude così un weekend meraviglioso, pieno di amicizia, avventura e nuove esperienze. Come sempre, condiviso con il mio fratellone Mimmo.

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